“Io non so cosa voglia dire andare avanti, e ti dirò che, anzi, mi ha sempre fatto incazzare come una bestia, questa cosa dell’andare avanti… Come si fa ad andare avanti quando tutto ciò che vuoi, tutto ciò per cui vivi, e persino quello che sei, cazzo, è rimasto indietro, eh? Avanti dove, sarei dovuto andare? E verso cosa, se di fronte a me non c’era nulla?”
Se i precedenti romanzi, ambientati negli anni ’70, mi erano piaciuti molto perché parlavano -come quegli anni- un linguaggio di ottimismo e spensieratezza e i personaggi apparivano proiettati verso il futuro, questo libro, ambientato ai giorni nostri, ha invece come protagonista assoluta la nostalgia. Il carattere principale, scrittore in crisi di “ispirazione”, vive come congelato nel ricordo del proprio passato glorioso, della giovinezza e del successo raggiunto negli anni novanta con il suo romanzo “I lupi dentro”, di incredibile successo.
Inutile dirlo, questo libro è una perfetta rappresentazione del nostro tempo triste proprio perché senza più speranza ma con tanti rimpianti per il passato che non ritorna, per “la tradizione”, per le cose “fatte come una volta” etc. Uno dei personaggi esplicita questa filosofia quando spiega che “Il vecchio è meglio del nuovo! Mille volte meglio! Il nuovo fallisce, ci delude tutti i giorni. Il nuovo fa cagare, amici miei…” Questo pessimismo -che vede nel passato la terra promessa non più raggiungibile- ha contagiato perfino le nuove generazioni che quel passato non lo hanno conosciuto. Il protagonista “Zapata”, nato a cavallo del 2000, è un giovane vecchio che di sé dice: “Mio padre mi aveva sempre detto di seguire i miei sogni ed io, che di sogni non ne avevo, uscito dalle medie avevo fatto la scuola che avrebbe scelto lui…”.